Chiesa di
Sant'Agostino
La sua
Storia
L’attuale parrocchia di Sant’Agostino ha assunto tale titolo il nell’anno 1919 quando il titolo stesso originalmente nella chiesa di S. Nicolò, presso Porta Sale, fu trasferito nella chiesa degli Agostiniani che ivi risiedevano e già officiavano la Chiesa di Sant’Agostino (ex San Lorenzo) sul Corso.
In seguito a tale trasferimento di sede, essa ereditò tutte le prerogative della precedente.
La chiesa parrocchiale di San Nicolò aveva origine antica come risulta nelle Rationes Decimarum degli anni 1290-92 e nella visita apostolica del 1574; era stata ex novo rifabbricata, trasferendo la sede dal luogo primiero-antico a quello più recente nell’anno 1710, ambedue nei pressi della Porta del Mare (Porta Sale) oggi Via Castelfidardo. Titolare era S. Nicolò (o Nicola) di Bari; la chiesa era situata nel quartiere cittadino che prendeva il nome da detto Santo e, da quella data, la chiesa più antica fu chiusa al culto.
Fu il Vescovo Bonaventura Porta ad assegnare la parrocchia di S. Nicolò ai Padri Agostiniani e a trasferire la sede parrocchiale nella prestigiosa e magnifica chiesa di S. Lorenzo, sita nel Corso XI Settembre.
Anche la chiesa di S. Lorenzo aveva origini antiche, essendo stata edificata, secondo il Fabbri, insigne storico locale, in “loco di ospedale” nel 1258, e ad essa Papa Alessandro IV concesse nel terzo anno di suo pontificato molte indulgenze.
Sorta in linee romaniche, di cui si riscontrano tracce solo nel campanile e nella bella cornice a fogliami in cotto, fu nel 1326 trasformata in stile gotico. Venuta in possesso degli Eremitani di S. Agostino, scesi dal vicino Romitorio di Valmanente (ora S. Nicola in località Muraglia), vi fu costruito, contiguo, il primo loro convento in città, per cui l’ospedale passò alla prossima chiesa di S. Spirito dei Crociferi.
Il convento fu indemaniato nel 1860, mentre la chiesa divenne, come già citato, sede parrocchiale nel 1919 dopo che ai PP. Agostiniani fu ceduta la parrocchia di S. Nicolò che poi prese il nome di Sant’Agostino.
Gli Agostiniani ressero la Parrocchia fino all’ 01.02.2003 allorché venne affidata ai Padri Agostiniani Scalzi che la ressero fino al 30 giugno 2015.
Dal 1.07.2015 la Parrocchia fu affidata ai Sacerdoti Pallottini, che la ressero fino al 18.10.2016.
Attualmente è sotto la cura di sacerdoti diocesani i quali la reggono in Unità Pastorale del Centro Storico (Cattedrale, Ss. Giacomo e Lucia, S. Giuseppe, S. Agostino, Ss. Cassiano ed Eracliano).
La
Chiesa
Il
Coro
La maggiore opera d’arte che vi si conserva è il Coro ligneo intarsiato la cui esecuzione risale al 1475. L’opera è importante perché riproduce immagini di una Pesaro sforzesca quattrocentesca che rappresenta il periodo più florido della sua storia. Vi si scorgono palazzi, chiese e scorci di una città ormai scomparsa e progetti sforzeschi mai realizzati il tutto intervallato da nature morte, e le cinte murarie della città di allora vista dai quattro punti cardinali. Il coro venne realizzato in occasione del matrimonio di Costanzo Sforza con Camilla D’Aragona. Questo matrimonio è sancito dalle due figure scolpite raffiguranti appunto gli sposi in sembianze di basilischi alati posti sui braccioli centrali del secondo ordine di scanni. Inizialmente era posizionato in altro luogo, forse l’attuale sala Laurana al Palazzo Ducale, verso la metà del 1500 venne donato agli Agostiniani, che lo collocarono inizialmente lungo le navate. Proprio in quest’epoca vengono aggiunti i postergali e la cornice superiore cinquecenteschi.
L’attuale posizione risale alla fine del sec. XVIII co la trasformazione della chiesa in stile neoclassico.
Nelle tarsie dei seggi e sui braccioli sono presenti gli emblemi della casata degli Sforza e cioè l’anello con diadema a cinque facce, le ali di nottola e il cardo. Il rapporto di fede e stima che intercorreva tra gli Agostiniani e gli Sforza, cui diedero Ascanio vescovo di Milano, è ampiamente attestato nelle due uniche tarsie figurate, in una delle quali San Nicola da Tolentino celebra l’Eucarestia e nell’altra Il priore del convento porge l’atto costitutivo (regola) dell’ordine ad un vescovo. Ignoto è l’autore cinquecentesco, mentre l’opera quattrocentesca è attribuibile ai fratelli Barili, forse Antonio, da Siena.
Il
Portale
Altra opera di particolare rilievo è il bellissimo portale romanico gotico, costruito tra 1398 e il 1413. La struttura di forma ogivale a grosso sguancio è riccamente ornata di fregi e bassorilievi, che ne accentuano le linee architettonico, e di statue poste in eleganti edicole. Nelle cornici dell’arco e sulle paraste degli stipiti, una teoria di figure amorfe facenti parte di un bestiario medioevale raccontano la storia ed i momenti e gli eventi salienti riguardanti la famiglia dei Malatesta Sopra la porta è posto un architrave in cui sono scolpite sette figure: due Angeli, due Profeti, due Santi con al centro S. Agostino. Nelle edicole ci sono quattro statue: S. Monica, S. Francesco, una Santa martire, S. Pietro. Nelle formelle: S. Guglielmo, S. Nicola, un frate rappresentante la Carità, un altro frate in contemplazione, S. Agostino, S. Lorenzo. Sul timpano superiori tre protomi leonine. Alla base delle edicole due leoni molto aggettanti.
Il portale fu realizzato all’epoca della dominazione dei Malatesta su invito della comunità cittadina. Ai lati della trabeazione compaiono infatti gli emblemi sia della città (lo scudo quadripartito) che quello dei Malatesta (lo scudo con banda scaccata). I leoni accucciati, le teste di leone aggettanti, le colonnine riccamente scolpite e la statua dentro le edicole finemente lavorate fanno del portale di Sant’Agostino una gioia per gli occhi.
– l’organo, un Mascioni (Cuvio-VA) opera 914 del 1970 a tre tastiere e 45 registri, costruito inglobando il vecchio organo Vegezzi-Bossi (Torino) costruito nel 1902 a due tastiere e 20 registri,
– la Via Crucis seicentesca di scuola pesarese e la novecentesca cappella affrescata che ospita il fonte battesimale in marmo rosso di Verona e costituisce assieme ad esso un insieme decorativo di notevole pregio.
Il suo
Interno
Pregevoli sono le opere d’arte che vi sono conservate.
Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio (1552-1626), di scuola manieristica romana, vi ha magistralmente dipinto nella pala del secondo altare a sinistra un san Nicola da Tolentino che intercede per le anime del purgatorio. La riflessione dell’artista si concentra sulla sola massiccia figura del santo che è tutto preso da religiosa pietà per le anime purganti, un atteggiamento di supplica accentuato dalle sue braccia col palmo aperto la sinistra volta al cielo a far intendere che è da Dio che viene l’aiuto, mentre la destra è protesa alla visione del Purgatorio. Così con la sua preghiera san Nicola presenta a Dio le sofferenze e le suppliche dei defunti bisognosi di purificazione.
Interessante in questa pala le immagini di una Pesaro seicentesca con una veduta della città nelle quale spicca la cupola della cappella di Sant’Ubaldo e della Villa detta della Vedetta pista sul colle San Bartolo.
Il quadro dell’altare maggiore rappresenta la SS. Trinità con la Vergine e i santi Agostino e Lorenzo, opera di Pietro Tedeschi (1750-1805), pesarese, allievo del Lazzarini.
Sulla parete in “cornu evangelii” fa bella mostra sul primo altare il San Tommaso da Villanova dipinto dall’agostiniano Cesare Pronti (1626-1708), che ritrae il Santo nell’atto di fare della carità ai poveri.
Fra le opere di maggiore rilevanza artistica va ricordata la Santa Rita da Cascia, di Simone Cantarini detto il Pesarese (1612-1648) al terzo altare a sinistra.
Nella composizione che ricorda i canoni della scuola di Claudio Ridolfi, il Veronese, la Santa è inginocchiata sulla predella dell’altare con lo sguardo raccolto in preghiera e in contemplazione verso il Cristo crocifisso. Dalla tipica coloritura “cenerina” emergono le luminosità prodotte dal viso della Santa e dal drappeggio della tovaglia d’altare.
Sulla parete opposta, sul primo altare, è la Sacra Famiglia, opera di Giovanni Giacomo Pandolfi, pesarese, che la eseguì intorno al 1630. Un altro quadro detto della Madonna della consolazione o della cintura, opera di Felice Antonio da Lettere, fu realizzato a Napoli nel 1603.
Quello della “Vergine della cintura” è una devozione cara all’Ordine Agostiniano, poiché, secondo la leggenda, la cintura che caratterizza il loro saio venne indicato dalla Madonna a santa Monica. Nel dipinto compaiono sant’Agostino e santa Monica, che ricevono la cintola, e altri personaggi agostiniani o legati agli agostiniani, quali santa Chiara da Montefalco, santa Caterina d’Alessandria, san Tommaso da Villanova, san Nicola da Tolentino ed un personaggio posto in secondo piano, particolarmente interessante: s’ipotizza che sia il Beato Pietro Giacomo da Pesaro.
Nel terzo altare a destra è conservata la bellissima tela dell’Annunciazione, attribuita a Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (1544-1628), pittore veneziano, discepolo del Tiziano, imitatore del Tintoretto nipote di Palma il Vecchio.
Il quadro venne eseguito prima del 1619 su commissione di Camillo Giordani, agente del Duca Francesco Maria della Rovere, per abbellire l’altare della cappella della famiglia dei Giordani.
Le piccole cappelle poste ai lati dell’altare maggiore sono dedicate al SS. Crocefisso ed alla B.V. di Lourdes. La cappella del Crocefisso, di patronato della nobile famiglia dei Bonamini, conserva un pregevole plastico in gesso, opera dello scultore urbinate Federico Brandani (c. 1522-1575) che raffigura il Cristo Crocifisso con ai piedi della croce la Maddalena.
L’opera fu commissionata da Pier Simone Bonamini, nipote di Simone il Vecchio, maggiordomo e savio del Duca Francesco Maria II della Rovere, agli inizi del Cinquecento.
La cappella sulla destra, ha uno stile moderno ed è stata realizzata agli inizi degli anni ’50 su iniziativa dell’U.N.I.T.A.L.S.I., dagli artisti pesaresi Carlo Maria Vadi (1920-1961) ed Alessandro Gallucci (1897-1980).
Altri dipinti di minore importanza artistica si trovano nella navata e raffigurano santi e beati agostiniani. Vi si possono riconoscere il Beato Guglielmo da Tolosa e il Beato Antonio di Amandola, opere di Pietro Tedeschi (1750-1805); seguono: la Beata Caterina da Pallanza, S. Giovanni da San Facondo, il Beato Andrea da Montereale e la beata Giuliana da Busto Arsizio, tutte opere di Carlo Magini (1720-1806).
Testo a cura di Giuseppe Frulli